Alla Villa Reale di Monza, fino al 21 maggio 2023 sono esposti i Macchiaioli e l’invenzione del Plein air tra Francia e Italia. La mostra è ospitata nel complesso dell’Orangerie oltre il roseto e ripercorre il movimento artistico sviluppatosi nella seconda metà dell’Ottocento, che ha in un certo senso anticipato gli studi sulla luce e colore proposti poi dagli impressionisti francesi.
Questo dipinto è la locandina della mostra e ben descrive la tipologia di soggetti, la vita rustica dell’Italia dell’800 ancora fortemente improntata sulla pastorizia e l’agricoltura.
Giovanni Fattori, Bovi al carro, 1868
Il movimento artistico dei Macchiaioli prende il suo nome dalla “Teoria della Macchia”. Ovvero le forme che vediamo sono create dalla luce e dal colore a volte distinte e accostate, a volte sovrapposte. Questa consapevolezza derivava dalle tecniche della fotografia. Essi infatti non copiavano da fotografie, ma dalla loro osservazione attenta avevano imparato a dosare i pesi di luce e ombre e le composizioni di chiaro scuro che nelle foto in bianco e nero sono particolarmente evidenti. Ecco perchè tutt’ora si insegna a disegnare facendo i chiaroscuro a matita.
Sicchè qualunque soggetto può esser reso scomponendolo in macchie quasi astratte di colori e luce, rendendo così degno della stessa attenzione e lavoro tanto soggetti importanti quanto soggetti semplici. Il pittore è perciò svincolato dalla rappresentazione quasi idealizzata e lontana dal vero che viene spesso riservata a soggetti considerati sacri o iconici.
Per riprodurre l’effetto del vero i macchiaioli usavano “una solo macchia di colore per la faccia, un’altra per i capelli, l’altra per la pezzuola, un’altra per le mani e per i piedi… E così per il terreno e per il cielo… “Cit. Adriano Cecioni.
Il soggetto si costruisce per macchie di colore contrapposte, senza descrivere i dettagli che a occhio nudo non si colgono. Anche il disegno, altro caposaldo dell’insegnamento accademico, è abolito: la pittura
“deve essere fatta solamente con il pennello”.
Il pittore dedicherà perciò lo stesso “metodo” e lo stesso occhio verista tanto a personaggi illustri o narrativi famosi, quanto alle più umili persone o animali. E così anche un muro sbrecciato, una spiaggia costellata di massi, un groviglio di rami diventano tutti soggetti ugualmente degni di rappresentazione verista.
Vincenzo Cabianca 1865
L’interesse degli artisti del movimento è concentrato sulla tecnica, sulla resa del dato reale attraverso il
colore, sul modo di catturare nel dipinto il baluginare di un raggio di luce sui fili d’erba, sulle masse cromatiche, sulle contrapposizioni di chiari-scuri. Non vi è più nessun intento narrativo romantico, né patetico.
Una contadina, una monaca, una principessa, un soldato, una mucca , un cavallo hanno tutte la stessa dignità di esser rappresentate. Lo scopo non sono loro ma catturare il vero.
Il valore di un’opera non è più il soggetto, ma la forma. Ovvero se la tecnica è riuscita a narrare il più verosimilmente possibile.
Quest’ultimo dipinto, con il ragazzo che guarda il mare, o il lago non ne sono sicura, è il mio preferito. Anche io amo queste viste, e mi piace osservare come i toni del blu e dell’azzurro velano gli orizzonti lontani.
Cosa mi lascia questa mostra: sebbene i soggetti pastorali veristi non siano la mia corrente artistica preferita, non si può restare indifferenti alla bravura di certi nel rendere le atmosfere della campagna o della natura, sembra quasi di poter percepire il ronzare degli insetti nella calura. Una gran capacità tecnica espressiva.
Tuttavia, un po’ di romanticismo e di narrazione la preferisco. Preferisco quando il pittore vuole raccontare qualcosa di alto e usa simboli precisi per farlo pur restando fedele al vero. Ad esempio Segantini mi emoziona molto.