Nel 2010 mi trovavo una mattina ad andare in macchina verso il lavoro, era l’alba e il sole rosso all’orizzonte sorgeva dai campi innevati. Mi fermai sul ciglio della strada con la macchina, poiché un albero magnifico aveva catturato il mio sguardo.
Scesi dall’auto e camminai per qualche metro sulla neve azzurra del mattino che scricchiolava come se si camminasse su dei biscotti. Lo strato di neve era gelato durante la notte.
Feci la foto di quell’albero con quel sole arancione. La foto non rendeva, perché il sole in fotografia viene sempre bianco, e il colore non è mai coerente a quel che si vede.
Presi appunti nel mio taccuino: il cielo era rosato vicino all’orizzonte, e azzurro più verso l’alto, le nuvole erano dorate e il sole rosso vermiglione.
Mentre scrivevo questi appunti fu come se un ricordo si sbloccasse. Mi sovvenne un quadro di un pittore naif jugoslavo (Ivan Generalic) che avevo visto copiare da mia mamma quando ero bambina: il Pavone nella Neve.
Lo abbiamo ancora in casa: a casa dei miei ovviamente.
Il quadro era un pavone dipinto su uno sfondo di neve, il cielo invernale cupo e freddo…
Mi era sempre piaciuto, fin da bambina. Ammiravo la maestria con cui mia madre aveva reso l’effetto delle piume del pavone, e il contrasto tra quei mille piccoli soli che ti guardavano, e il paesaggio e il cielo quasi ostile.
Decisi in quel momento che la foto, i miei appunti e quel ricordo avrebbero dato luogo ad un quadro nuovo. Non volevo l’atmosfera cupa, volevo quel cielo luminoso del mattino e quella neve azzurra, ma il pavone assolutamente ci doveva essere.
Il mio pavone molto ha preso dal pavone che avevo ammirato nel dipinto di mia madre.
Il mio pavone ha il petto blu, poiché di questo colore li ho sempre osservati, e mi piaceva rendere l’effetto cangiante tra il blu e il verde.
Cosa volevo raccontare con questo dipinto?
Viviamo inconsapevoli della luce che ci circonda, coscienti a malapena delle ombre che incrociano nostri passi, inseguendo i mille piccoli soli della ruota del pavone, false illusioni e inutili chimere… E ai piedi dell’albero che si nutre della luce gloriosa del sole, vediamo lo scheletro di un animale morto…
Una sorta di “Memento Mori”.
Un’esortazione a godere della Natura, della bellezza del sole sulla neve, delle nuvole dorate in cielo e lasciare perdere le illusioni poco durevoli.
Poiché non ho conservato quella foto di dodici anni fa, ho provato a tornare su quel campo, ma il paesaggio era completamente trasformato. Arbusti fitti e rovi l’avevano invaso soprattutto attorno all’albero, che quasi non si riconosceva tanto era diventato tutt’uno con la macchia. Quando tornerà la primavera diventerà un tutt’uno di foglie e rovi impenetrabili, una tana perfetta per i consigli che abitano in questi campi.
Questa trasformazione mi ha colpito come un secchio di acqua gelata: quanto tempo era passato da quel giorno?! A me sembra sempre immutato quel paesaggio, perché lo guardo nel mio quadro appeso in casa, ma vederlo così diverso e dover cercare quell’albero tra altri mi ha dato l’impressione del tempo trascorso, ed è stata una lezione in più al quadro stesso, che allora avevo dipinto senza rendermi forse conto della profondità di quel che significava.
Davvero penso che quando si Crea Arte si entra in contatto con qualcosa di divino che come un oracolo ci fa parlare, e se sappiamo ascoltare abbiamo molto da comprendere e su cui riflettere.